La solitudine dell'utopista
- giglius1958
- 4 giu 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Uno dei libri più famosi e letti (forse) di Federico Caffè era “la solitudine del riformista”, ma oggi che tutti si dichiarano tali, la vera solitudine è quella del rivoluzionario. È la mia.
Tanto per chiarirci, rivoluzionario (oggi), non è colui che dorme con la pistola sotto il cuscino e un occhio sempre aperto, ma solo chi vuole concretizzare (attraverso una rivolta cosciente di popolo) ciò che ancora non è stato realizzato... colui che vuole praticare un’utopia al servizio del bene comune (rifiutando in questa fase la via parlamentare); forse un edonista (nel significato più positivo che si può) che vuole godere la vita e far godere tutti gli altri in sintonia con la natura. Sbaglia chi crede che ci voglia “fede” (noi non siamo di nessuna chiesa, neanche quella di partito), ma solo una decisa e strutturata coscienza di classe, genuina dote costruita con studi, letture, confronti, dialoghi e conoscenza del sistema vigente unitamente al ruolo sociale di chi non possiede la proprietà dei mezzi di produzione, dell'informazione, dell'economia, della finanza e dell'(anti)politica al servizio servile dell'imperialismo economico, militare, alimentare, mediatico, farmacologico...
Mi sento solo soprattutto quando sono mescolato agli altri... una solitudine bukowskiana che oscilla tra il sentirsi, a volte, solo al mondo e l'esserne sicuro, tutte le altre. Solitudine al bar. Compro il giornale (Il Manifesto) tutte le mattine ed entro al solito bar sfogliandolo, con la tv fissa sul TG di canale5, che sputa notizie di regime tra gli avventori distratti dalla crema che cade sulle loro magliette nel solito posto del giorno prima, tolta nervosamente (ma pavlovianamente) dal solito movimento della mano mentre la tv vomita i clandestini (mai uomini e donne) partoriti morti dal mare di Lampedusa, o fa sfoggio di militariper-la-nostra-sicurezza in città.
Tutti continuano a mordere il bignè... uomini e donne in catalessi (a parte l'apparato digerente), mammiferi ipnotizzati dalla routine della loro misera vita in gran parte mai autodeterminata, ai quali niente o nessuna notizia fa battere un ciglio, alzare lo sguardo… tanto meno fare un commento, di qualsiasi tipo.
Il tempo scorre lento e la vita scivola via portandoci con sé verso i luoghi di lavoro, anzi di sfruttamento, dove tutti siamo contro tutti, per un piccolo posto al sole che il capo dispenserà ai più lecchini e sottomessi.
Esco dal bar, incontro gente, la stessa, che fa la stessa strada con il solito passo, vestita da serata di gala la mattina alle 7:30, soprattutto le donne, perché si sentono obbligate a piacere al datore di lavoro, lo devono far eccitare o credere che ad un suo gesto ci scappi un pompino nell'ufficio vuoto di uno diventato - oplà - un esubero perché rompeva troppo le palle. Quanto mi dispiace vedere il popolo femminile così devoto e intrigante verso il potere, voi non lo potete capire!
Solo; sempre più... per fortuna ho il mio cane che non conosce il capitalismo e non ha neanche un padrone che lo ha cresciuto secondo il modello di cane ubbidiente.
Poi, uno su mille, compare un essere umano e mi ci fermo a parlare; ci capiamo nonostante le nostre (non insormontabili) differenze… i nostri sguardi e le nostre parole ci confortano di tanta indifferenza dei più; ci scambiamo giornali, concetti, punti di vista....nella mia e sua solitudine esistenziale portiamo un raggio di luce... ed è subito sera.
P.S. - Hasta la victoria siempre... ma forse un pareggio andrebbe bene lo stesso. Magari perdere giocando meglio: la nostra bella figura passerà inosservata?
Avere ragione, dire la verità, analizzare l'esistente obiettivamente e con coraggio, dire la nostra con ogni persona e in ogni ambiente ci troviamo, porterà a qualche risultato tangibile? Non lo so ma non posso fare a meno di farlo!
A presto
Solipsisticamente vostro
Alessandro Gigli
Jesi (AN)
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